Il premier Giuseppe Conte li ignora e non intende riceverli. Mentre il ministero dell’Interno li addita come speculatori e li taccia di comportamento ostile. Per questo, le sigle sindacali Siulp, Sap, Slap e Fsp Polizia - che rappresentano l’80% di tutto il personale in divisa - minacciano manifestazioni di piazza e la mobilitazione generale.

            Se, infatti, il governo non li ha convocati prima dell’approvazione della legge di bilancio nonostante lo preveda la legge, il Viminale ha addirittura dichiarato - per bocca del Dipartimento della pubblica sicurezza - che il Sap è responsabile di «odiose speculazioni» in merito ai fatti di Trieste. Il riferimento è all’omicidio a sangue freddo degli agenti Pierluigi Rotta e Matteo Demenego, per mano di un malvivente dominicano che ha sottratto loro l’arma d’ordinanza, per poi rivolgergliela contro durante un accertamento in Questura.

            Proprio la dinamica della sparatoria triestina è finita al centro di una violenta querelle tra governo e i sindacati di Polizia. Secondo questi ultimi, la corresponsabilità della morte degli agenti è da attribuire all’equipaggiamento obsoleto: la sicura delle fondine delle pistole sarebbe stata difettosa e avrebbe permesso all’omicida di sfilare agilmente le armi ai due agenti. L’ultima denuncia in merito era giunta per bocca del segretario generale del Sap, Stefano Paoloni, il quale già ad agosto aveva richiesto verifiche urgenti al ministero, perché dai poliziotti in servizio erano giunte innumerevoli segnalazioni inerenti «fondine che si spaccano, a fronte di un utilizzo assolutamente diligente da parte degli operatori».

            Mentre il suo segretario per la provincia di Trieste, Lorenzo Tamaro, va oltre: «Tali perplessità devono rappresentare solo un punto di partenza e non di arrivo. Ciò che conta è aprire una riflessione sulle condizioni in cui gli operatori di Polizia svolgono le loro funzioni quotidiane. Ci sentiamo soli da molto tempo, lo abbiamo manifestato in molte maniere, ma evidentemente non siamo stati ascoltati. A noi non servono pacche sulle spalle, ma fatti concreti. Altrimenti, dopo la commozione per due colleghi assassinati, tutto tornerà come o peggio di prima».

            La questione delle durissime condizioni di lavoro in cui versano le forze dell’ordine è annosa, e non riguarda soltanto le dotazioni obsolescenti (mitragliette degli anni Settanta ancora in uso, giubbotti antiproiettile scaduti, fondine difettate, etc.), ma anche le regole d’ingaggio, i protocolli antiterrorismo insufficienti, gli stipendi inadeguati, il numero troppo esiguo degli operativi su strada. E una cultura diffusa, che qualcuno ha soprannominato «il partito dell’antipolizia», che registra una tendenza alla violenza gratuita contro gli agenti, ormai bersaglio delle frustrazioni di una larga parte della società: allo stadio come durante normali controlli su strada, ormai è consuetudine insultare o aggredire le forze dell’ordine. A questa lunga lista si deve aggiungere anche il linciaggio mediatico, che picchia duro quando le divise sbagliano e mai premia il loro eroismo. Le statistiche nazionali parlano chiaro: ogni quattro ore almeno un operatore di polizia finisce in ospedale con conseguenze invalidanti, fisiche o psicologiche.

            Di tutto ciò l’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini ne aveva fatto la propria cifra di governo, ma le violente polemiche e le immancabili partigianerie seguite ai decreti Sicurezza varati durante il governo gialloverde, aleggiano ancora sopra il Viminale. E devono aver avvelenato anche il clima interno.

            Circa l’episodio di Trieste, i toni inconsueti e poco ministeriali con cui il Dipartimento ha tuonato contro il sindacato, che «sconvolge e sconcerta», ha sortito l’effetto opposto. Per niente intimorite, le organizzazioni sindacali hanno risposto minacciando lo sciopero della Polizia di Stato. Una soluzione che, però, in Italia gli è vietata dall’art.84 della legge 1 aprile 1981 n. 121, il cui titolo è piuttosto eloquente: «Divieto di esercizio del diritto di sciopero» (anche se talune interpretazioni della Costituzione sembrano mettere in dubbio la liceità di tale articolo).

            In ogni caso, i sindacati non sono affatto uniti nella lotta. Lo stesso segretario generale del Sap, la sigla che raccoglie il maggior numero di aderenti dopo il Siulp (circa 18mila contro 25mila, secondo il Viminale), non ne fa mistero e a Panorama dichiara: «Oggi c’è un problema nel movimento sindacale, che per molti aspetti ha perso di vista le finalità e gli obiettivi che un sindacato si deve dare. Noi dobbiamo tutelare il personale anche attraverso le critiche all’Amministrazione, che non sopporta il dissenso ed è talmente autoreferente che, quando vi sono divergenze, reagisce in maniera spropositata come sul caso di Trieste. Noi, al contrario degli altri sindacati che non esprimono mai giudizi negativi, abbiamo scelto di portare all’attenzione dell’opinione pubblica lo stato reale della pubblica sicurezza in Italia. Ma siamo deboli, perché non disponiamo della principale fonte di rivendicazione, e cioè lo sciopero».

            A ben vedere, dunque, il principale problema che riguarda la Polizia di Stato oggi sembra incardinato nel rapporto tra il Dipartimento della pubblica sicurezza e i sindacati di categoria. Insomma, non si scorge nessuno spirito corporativistico: anche in seno alle forze dell’ordine la politica sembra aver alterato gli equilibri. Il che suona grottesco, considerato che dovrebbero essere altri i temi sui quali concentrarsi: come le battaglie combattute ad armi impari contro la criminalità organizzata o il preoccupante fenomeno dei suicidi tra le divise, il cui tasso è in vertiginoso aumento. Quale che sia la ragione, il loro malessere esiste eccome. A certificarlo sono alcuni dati impressionanti: in Italia, dall’inizio dell’anno sono già 46 i membri delle forze dell’ordine che si sono suicidati (rispetto ai 29 del 2018), e che si sommano a una già triste statistica che vede ben 214 operativi che si sono tolti la vita nel periodo che va dal 2014 al 2019.

            Il problema non è solo italiano. Questo trend negativo colpisce le polizie di tutta Europa. Le aggressioni fisiche contro poliziotti e gendarmi in Francia sono nell’ordine delle 13mila l’anno: se nel 2016 si è registrato il primato negativo di agenti colpiti da arma da fuoco (687, che hanno fatto 26 morti), il 2019 rischia di chiudere poco sotto quella soglia. Di certo, ogni anno in Francia oltre una dozzina di agenti vengono uccisi in servizio. Quanto ai suicidi, nel 2019 sono già il doppio rispetto ai 68 dell’anno precedente. In parte, questo fenomeno è stato spiegato come «stress psicologico», dovuto agli attentati terroristici che hanno colpito il Paese a partire dal 2015. Ma non basta. Anche in Germania, ogni anno si registrano almeno 30mila attacchi contro le divise, mentre in Spagna negli ultimi vent’anni si sono avuti oltre 160 suicidi. Tutto ciò, nonostante negli ultimi cinque anni si registri in tutta l’Unione Europea un calo tendenziale del tasso di omicidi e degli altri crimini. Solo due tipi di reato sono in netto aumento: le violenze sessuali e, appunto, le aggressioni contro le forze dell’ordine.

 

LEGGI L'ARTICOLO

Panorama