Abbiamo intervistato Lorenzo Tamaro, segretario provinciale del Sindacato Autonomo di Polizia. "Per affrontare la rotta balcanica le riammissioni informali erano uno strumento efficace". Focus sull'immigrazione, sulla vittoria della destra alle ultime elezioni e su alcune problematiche legate alla situazione triestina. L'intervista di Nicolò Giraldi

Lorenzo Tamaro il giorno della sentenza meran (foto Aiello)
 

TRIESTE - “Anche se l’immigrazione clandestina proveniente dalla rotta balcanica rappresenta soprattutto un problema su scala europea, non può passare il messaggio che l’Italia è il paese dove tutto è concesso. Abbiamo bisogno di segnali di legalità importanti e per questo motivo, come nel caso delle riammissioni informali, vanno individuati strumenti normativi efficaci per combattere il fenomeno”. Nelle ultime settimane Trieste ha visto un aumento significativo di arrivi di richiedenti asilo, con centinaia di persone costrette a dormire all’addiaccio. Molti i rintracci, come pure le presentazioni spontanee in questura. Di questo, ma anche del cambio di governo e di problematiche locali, ne abbiamo parlato con Lorenzo Tamaro, segretario provinciale del Sindacato Autonomo di Polizia.

Tamaro qual è la situazione che si respira a Trieste?

Lo stato d’animo è di scoramento. La rotta balcanica è stata dimenticata da tempo. Il silenzio è assordante, anche da parte dei media. Nonostante i numeri in aumento e un fenomeno sempre più incisivo, dal punto di vista dell’implementazione dell’organico non giunge nessuno impulso. Ad aggravare la situazione quest’anno è arrivata anche la gestione della crisi ucraina, con persone, queste sì, in fuga dalla guerra. La tipologia migratoria che abbiamo affrontato è diversa, con persone prettamente di sesso maschile e adulte da un lato, donne e bambini dall’altro. Le pattuglie in servizio sono sempre le stesse due, forse tre, e nel momento in cui si avevano mille e più arrivi al giorno non si riusciva a controllare il resto. Oggi, dal punto di vista della rotta balcanica se fai la somma tra i rintracci e le presentazioni in questura, allora otteniamo un numero notevolmente maggiore, con la differenza che noi operiamo sempre con gli stessi uomini.

In molti indicano la realizzazione di un hub permanente, un po’ come a Lampedusa, come risolutivo. Cosa ne pensate? Potrebbe essere utile oppure no?

Paradossalmente Trieste ha già un hub, ma non ha le risorse necessarie. L’abbiamo ribadito più volte: fare le cose seriamente significa avere più personale e più strutture. Non si può pensare che i colleghi vengano palleggiati tra la questura, Fernetti o il campo scout di Campo Sacro. Dal ministero devono iniziare a prendere in considerazione una organizzazione diversa.

Insisto. Da Roma comunicano che da domani Trieste è sede di hub permanente. Cosa rispondete?

Voglio prima vedere il progetto. Perché il fenomeno non può essere gestito in questa maniera. Ci vuole una struttura con un minimo di parametri di sicurezza. Noi non conosciamo nulla delle loro origini (dei richiedenti asilo ndr), non sappiamo che persone sono e cosa vengono a fare in Italia. Per le leggi dello Stato chi entra clandestinamente nel nostro paese non può essere lasciato entrare. Noi del Sap ci poniamo il problema di risolvere il problema delle condizioni di lavoro e di sicurezza della polizia, non risolviamo noi la questione della rotta balcanica. Cosa si potrebbe fare per arginare? Oltre agli uomini e alla logistica la polizia necessita di strumenti normativi diversi. Tra questi, le riammissioni informali erano strumento efficace, ma lì diventa un problema politico.

Come procede la cooperazione con la polizia slovena?

Siamo in contatto con il Policijski Sindikat Slovenije, il maggiore sindacato di polizia in Slovenia. La situazione che vivono i colleghi sloveni è molto difficile, anche perché la rotta balcanica è uguale come da noi, con la differenza che hanno una forza di contrasto del tutto inferiore rispetto a noi. Ci vorrebbe una legislazione ad hoc tra paesi che possano cooperare in ambito europeo perché l’immigrazione clandestina proveniente dalla rotta balcanica non è un problema italiano, bensì europeo.

Cosa vi aspettate dal nuovo governo?

Mi aspetto un ministero dell’Interno diverso. La Lamorgese ha gestito la rotta in un silenzio assordante. Credo che le aspettative siano molto alte, non tanto dagli ambienti di polizia, ma dai cittadini. Sono loro che vogliono una sicurezza diversa, e con il voto l’hanno dimostrato. La società in cui viviamo, anche rispetto all’immigrazione, si è notevolmente trasformata. Abbiamo problematiche molto grosse e che vanno a toccare anche realtà come Trieste, da sempre considerata un’oasi felice. Rispetto a pochi anni fa la sicurezza di questa città è cambiata. Un esempio di cosa vorremmo? Una delle battaglie storiche del Sap è quella della certezza della pena. Va dato un segnale anche a chi culturalmente ha un approccio diverso. Quindi ci aspettiamo che il prossimo governo metta mano alle cose, c’è grande speranza nel cambiamento perché riteniamo che è già troppo tardi. Se si continua così ci sarà bisogno di tante forze di polizia.  

Questione sicurezza a Trieste. Risse, liti e episodi di violenza dove sono spuntati anche coltelli. Più volte hai affermato che “prima o poi ci scappa il morto”.

Fino a quando l’accoltellamento avviene in parti non pericolose la persona viene ferita e basta. Se capita in zone vitali allora per questo motivo la situazione può complicarsi. La realtà è che parliamo anche di un problema culturale. Queste risse avvengono o all’interno di gruppi della stessa etnia (recenti i casi a Trieste che hanno coinvolto persone di origine kosovara ndr) oppure nell’ambito della movida, ma sempre tra bande provviste di coltelli.

Trieste vede la presenza di molti minori non accompagnati. Che fenomeno è quello degli arrivi?

È un altro business, al pari della rotta balcanica, e conferma che in Italia manca sempre l’idea di una immigrazione controllata. Tanti dicono: “Abbiamo bisogno di queste persone”. Va bene, ma allora è discriminatorio nei confronti di chi fa le cose secondo la legge. Per questo ribadisco che abbiamo bisogno di segnali di legalità e non di condoni e di giustificazioni, altrimenti si fa passare il messaggio che in Italia viene sempre tutto perdonato. C’è una grande speranza nel cambiamento perché riteniamo che se continua così ci sarà bisogno di tante forze di polizia.

Il tema dei suicidi all’interno della polizia è argomento sensibile, eppure reale.

Il problema è gravissimo. Negli ultimi anni a Trieste abbiamo avuto due casi, uno all’interno della scuola di polizia e l’altro nella polizia ferroviaria. Anni fa l’allora capo della polizia Gabrielli aveva istituito un osservatorio permanente e noi come Sap avevamo partecipato attivamente perché avevamo capito quanto grave fosse il fenomeno. L’incidenza è molto elevata e va trovata una soluzione, anche e soprattutto psicologica. Non basta che da Roma ogni tot arrivino gli specialisti.

Dicevano che eravate di colore verde, come la Lega. Di che colore diventa oggi il Sap, dopo la vittoria della Meloni?

Il nostro sindacato si è sempre contrapposto ai sindacati politicizzati. Nasciamo con il contributo della gente e questa autonomia rimane. Molti cercano di minarla di continuo solo perché il nostro ex segretario Gianni Tonelli è stato eletto con la Lega, ma sfido chiunque ad andare in parlamento e portare avanti per anni la mission di rappresentare la polizia come l’ha fatto lui. Detto questo, il Sap continuerà a mantenere la sua autonomia. Abbiamo dialogato con tutti, perché alla fine conta il bene della polizia e della comunità.